Testi Liriche Premiate
Il Bivio Oltre La Valle Dei Templi
Pochi metri di terra battuta, il cancello
È un cammino scomposto come il respiro di un vecchio in questa
estate che ha colori risaputi. Niente ci sconvolge. Tutto torna
come è stato e come sarà, anche se non saremo qui, simili a cose sazie sfatte di stagioni,
a ripetere la vita come una preghiera in disuso
Accontentarsi d’impronte sul selciato, di sguardi muti come
bave di luna, era ormai un rituale senza tempo
E adesso andiamo. Se cerco la tua mano in un gesto gentile, demodé
trovo vento. Eppure è un viaggio che accompagna i passi come ieri …
Quel desiderio che ci abitava…Una radice ficcata nel ventre
il bisogno di te. Mi riposavi nel cuore. Secoli fa.
Ti rivedo sai, per attimo, inevitabile come una malattia infantile
Sei nel canto di un lupo nella neve, nell’allodola sul ramo rosso d’aprile
Eri la bellezza del tutto. Il respiro. Ti rivedo ancora, poi, con la flemma
dell’abitudine, la sconfitta dei vinti. Certo, te lo trascini il sapore di ieri
L’odore sanguigno di un lenzuolo sgualcito. Il campo inseminato
del tuo ventre. La carne…Ma adesso, è così. Sei solo vento
Ed è un vento senza ritorno. Va. Oltre il cancello ci stupiscono slarghi
che non conoscevamo. Erano lì a due passi. Eppure..,
Per la valle addormentata tra rovi nudi, gli antichi templi. Quel frontone
di virili gesta. Il guizzo di un muscolo, l’occhio ferino. L’eternità ha il respiro
della pietra. E’, questa, una terra di cose e gente che la sapeva lunga
sull’eterno. E su questa parola, ridi con la rapidità del falco. E io con te
...Andiamo. Lasciamo dietro i passi, pensieri sfarinati.
E poi II bivio.
Strade bianche come ossa dissepolte. Allungando l’occhio, insistono
lembi dell’eterna valle e su, ancora i rovinosi tetti dei nostri templi
Oltre, è nebbia d’estate. Vapore caldo. Eppure un brivido ci coglie
Ti guardo con l’addio di un rimpianto cretino. Sei la prima ad andare per questo
viaggio in solitaria. Ed io, solo. Paradossale, ridicolo come un lampione nel deserto
Ritorno tra contorni sfasati. Alle spalle, il cancello, è un guaito
Sì, l’estate avanza e arriverà, con quel sapore acidulo, l’autunno
Mi vedo cotto come un gatto al solleone nel portico, con l’odore addosso
di femmine senza nome. Papaveri in un campo di grano. Quella balorda
nostalgia. E poi, niente. Sarò ancora qui
A contare minuti e ancora, poi, stagioni.
Maricla Di Dio Morgano – Calascibetta (EN)
Santabarbara
Credere in dio
bere vino dozzinale
sciare
appassionarsi
alla campagna elettorale
vivere nella paura
le code della domenica
sbellicarsi a teatro
con beckett
tentare la fortuna
mettersi una teca di rettili in soggiorno
rovistare ai mercatini
abbonarsi al pensiero unico
scrivere poesie
fumare
amare
le persone
semplicemente
fanno cose incomprensibili
Franesco Nesi – Montespertoli (FI)
Un bambino soldato
Kambia, Sierra Leone, 11 febbraio 1999
Brilla un lume nella capanna,
la madre attende il ritorno del figlio,
sussurra un’antica ninna nanna,
vicino a un fuoco rosso vermiglio,
vola nel vento una preghiera,
scende la notte, freddo è il giaciglio,
nel villaggio, imperversa una bufera:
indossa vesti pesanti il bambino?
Si trova ancora vicino alla miniera?
La madre prega fino al mattino,
non la ristora la luce del giorno,
l’alba spande aromi di cedro e biancospino,
le acacie ondeggiano alla brezza, lì attorno,
finalmente è cessata la tempesta,
ma il figlio non farà ritorno;
ricorda spesso la madre mesta,
quand‘è fuggita dall’altro villaggio, – la figlia in braccio, un involto sulla testa -,
son giunti i ribelli, nella sera di maggio,
han preso il bambino, senza esitare,
Il suo sorriso è soltanto un miraggio,
stordito da droghe potenti, deve sparare
con enormi fucili, per non essere ucciso,
vorrebbe giocare, studiare,
la notte, mille lacrime gli rigano il viso.
Antonella Iacoponi Cascina (PI)
Miglior autore provincia Grosseto
I sorci verdi
La discarica è chiusa, ed ermo è il colle
di calcinati cumuli e sfaceli:
e un po’ mi snerva il brillio
d’acidi smalti, nel giro a vuoto
di ratti imbranati e esagitati,
che risicano senza rosicare.
Siamo alla frutta ovvero al nocciolo:
duro, s’intende; ed è il momento
dei roditori estremi: si son visti,
infatti, i sorci verdi, che correvano
in massa fino in cima… E si è visto
poi, al tramonto, nella piana,
un polverone… Uno strano gregge:
non eran pecore e non eran capre… Pecapre
in fuga, si è pensato… Ma rimane insoluta
la questione se c‘è lana caprina allo sterpame,
e se altra fauna è ancora da censire…
Per quanto esperto l’occhio si confonde,
s’intravedono squame, in acquitrini,
bolle viscose in forma di meduse…
Appassionati di criptozoologia
continuano a frugare nel buio limo,
e non si sgomentano,
nel trovar l’ossa d’altri appassionati…
Su una sponda di eternit, licheni,
convolute latte e ignote grume,
leggibile ma oscuro un cippo avverte
che qui regnava, un tempo,
il noto Mostro della Laguna Nera.
Ora ci son rimaste poche rane:
spaurite e fioche; e tartarughe
dalle guance rosse: fameliche e incupite…
E attenta e calma, una biscia d’acqua.
Incauti invece i sorci verdi
che, moltiplicandosi, sconfinano;
e si disperdono, seguendo per puro gioco
lo sfasciume; sui versanti di lava,
van giù, a spaglio1, dal primo all’ultimo,
nelle nere plaghe: e se un poco sopravvivono,
si biodegradano e scolorano.
Ma non hanno rosicchiato invano,
perché stamani non c‘è più la cima
ed è sfaldato, eroso l’ermo colle
e francamente, il suo franar m‘è dolce.
Livio Bruni – Orbetello (GR)